Anne Carson, Era una nuvola

Lo spazio di Atena

di Floriana Coppola

Fidatevi di Euripide. Fidatevi di Elena.
Non andò mai a Troia. Marilyn era veramente una bionda.
E tutti noi andiamo in cielo quando moriamo.

Semplicemente geniale quest’opera di Anne Carson. In meno di cento pagine, quest’opera teatrale in versi liberi riesce a far fare una completa rivoluzione a uno stereotipo tradizionale femminile, dato per scontato. Dopo aver letto questo poema sarà difficile immaginare Elena di Sparta in un altro modo. Il capovolgimento è radicale, lo svelamento diventa necessario come inseguire una vertigine per comprendere la giusta collocazione di una visione ancestrale. E ti domandi perché avevi creduto così ciecamente nella prima versione del mito.

«Se la prosa è una casa, la poesia è un uomo in fiamme che la attraversa correndo».

Così afferma Anne Carson, poetessa e saggista, tra le voci più acclamate della letteratura canadese contemporanea. Traduttrice dal greco antico e classicista, si sofferma con particolare interesse sulla poesia di Saffo e sulla tragedia di Eschilo, Sofocle ed Euripide, riuscendo a dare una nuova vitalità filosofica e letteraria ai contenuti della mitologia greca. Le sue opere fondono versi, estratti di prosa, studi, dialoghi teatrali e traduzioni di classici antichi e contemporanei. Ogni sua operazione letteraria infatti è una vera miscela esplosiva nella forma e nel contenuto. Operazione di archeologia letteraria: analizzare un mito, togliere strato dopo strato le incrostazioni ideologiche che lo hanno utilizzato demagogicamente, mettere a nudo ogni ipocrisia motivata dalla priorità politica che travisa le relazioni, i legami, ogni storia.

Come Penelope nella mitologia greca omerica è la moglie fedele e austera che aspetta pazientemente il marito, Elena di Sparta è la moglie infedele e astuta che tradisce Menelao e dopo averlo tradito riesce anche a farsi perdonare.  Nell’immaginario antico, l’archetipo femminile si sdoppia per mantenere viva una logica patriarcale misogina, che in ogni caso mortifica, semplifica, appiattisce e manipola la percezione reale della complessità della condizione della donna e del suo universo interiore. Il ruolo uccide l’anima, la persona la maschera. Un gioco di scatole cinesi dove il nodo sacro dell’essere umano viene schiacciato da un ordine superiore stabilito. La logica del desiderio che contamina l’essenza del vivere. Desiderio di potenza e di denominazione.  

Anne Carson recupera la versione di Euripide, affermando che Elena non andò mai a Troia ma si rifugiò per diciassette anni in Egitto, per poi tornare a Sparta. Al suo posto gli dèi avevano inviato un fantasma, “un simulacro vivo composto di cielo”.  Una nuvola infatti. Questo stratagemma era necessario per provocare il conflitto militare, che avrebbe portato ai greci un grosso bottino di schiavi e di ricchezze.  

Lo spettacolo è una tragedia. Guardate ora attentamente
come lo salvo dal dolore.
Mi aspetto che sappiate della Guerra di Troia
e di come fu causata da Norma Jeane Baker.
Ah, le Public Relations!
Era tutta una truffa.
Un bluff, una schivata, un imbroglio, una trovata, un gioiello di pensata.
La verità è,
che una nuvola andò a Troia.
Una nuvola sotto forma di Norma Jeane Baker.
Gli dei lo resero possibile, o quasi.
Mi portarono a LA, in volo. Mi rinchiusero in una suite del Chateau Marmont.
Mi dissero di imparare le battute per Scontro di notte,
un film di Fritz Lang, il celebre regista.
Quanto basta sul suo conto.
A proposito di eserciti ignoranti però,
quella nuvola fasulla ingannò tutti.
Forse un migliaio di troiani morì a Troia. Mi dispiace per loro.
Mi dispiaccio per me stessa.

Anne Carson crea così una versione alternativa del mito greco, modernizzante e femminista.

 Era una nuvola, titolo scelto da Anne Carson per la versione italiana di Norma Jeane Baker of Troy è un melologo, una pièce composta per musica e parola, originariamente concepita per l’interpretazione dell’attore britannico Ben Whishaw nel ruolo di Norma Jeane Baker, il vero nome di Marilyn Monroe. Intrecciando la storia e il destino di Elena e Marilyn, due emblemi del fascino femminile, Anne Carson vuole ridare dignità alle donne, liberarle da ogni strumentalizzazione politica e privata. Stabilisce e denuncia con rigore e forza espressiva la volontà predatoria della società patriarcale, fortemente militarizzata. Gli uomini vogliono andare in guerra, vogliono fare la guerra e Elena di Sparta diventa la scusa plateale, il sotterfugio per mettere sotto assedio Troia. Bisogna alzare la temperatura del conflitto e questo escamotage ha la potenza necessaria per portare sul campo di battaglia troiani e greci. Ma nella sua riscrittura teatrale di questo mito, Elena è anche Marilyn, la donna bionda e avvenente che deve gestire la conflittualità domestica con i suoi uomini.

L’assimilazione è complicata. Ti devi reinventare. Perfino Marylin aveva problemi all’inizio.
“Quando ho firmato il mio primo autografo ho dovuto farlo lentamente. Non sapevo dove andasse la y e dove mettere la i”

Due scenari violenti, quello pubblico e politico delle strategie militari e quello ugualmente violento dei maltrattamenti domestici.  Due inganni, dice la Carson, due infingimenti, due camouflage. Costruire la maschera della bellezza, la sua cassetta degli attrezzi per entrare nel gioco della seduzione, senza sapere se assumerai il ruolo della vittima oppure del carnefice.

La bellezza delle donne, sia nel passato più arcaico cantato dalla poesia epica del Mediterraneo, sia nel presente statunitense hollywoodiano diventa strumento collettivo maschilista per manipolare la realtà e piegarla al proprio tornaconto politico e ideologico. Elena e Norma sono percepite come metafora paradossale e estrema del bisogno di potere degli uomini e dei popoli, di dominio sull’altro. La tattica militare viene di volta in volta svelata con degli inserti di una precisione linguistica e filologica folgorante. La logica della sopraffazione rende possibile ogni sotterfugio.

εἴδωλον
“immagine, somiglianza, simulacro, replica, vicario, idolo”

STORIA MILITARE: LEZIONE n. 1
Far credere alla gente che una replica sia la realtà, manipolare la percezione collettiva del fenomeno. Indirizzare astutamente l’opinione pubblica genererà una versione alternativa dei fatti, che quindi potrà essere sostenuta accanto a quella fattuale, come una nuvola a forma di donna, o un dorato idolo hollywoodiano al posto di una giovane pin-up coi capelli scialbi che viene da Los Angeles.

 Era una nuvola è quindi una riflessione antimilitaristica sulla guerra, un atto d’accusa sulla condizione della donna, una meditazione sulle conseguenze del desiderio e della bellezza, sul rapporto tra verità e menzogna, sul tema del conflitto, pubblico e privato, declinato in chiave bellica e nel contempo sentimentale. Era una nuvola è un’opera di riscatto profonda e affascinante, che libera  la donna da ogni archetipo maschilista, attraverso un’affabulazione surreale e magnetica che slaccia le caviglie dal peso di una prigione immaginaria. La scrittura della Carson è reticente e abissale, ogni verso diventa una perla colma di significato, con una densità esistenziale filosofica e letteraria inimmaginabile. Una costruzione che si stratifica per sovrapposizioni, rimandi letterari, citazioni filosofiche, affondi etimologici. Necessita di varie letture per essere capita fino in fondo, ma ugualmente sfugge, tanto è la ricchezza contenuta in ogni sua parte. Lo spessore simbolico poi è infinito. La scrittura è una tela che viene fatta e disfatta, recuperando l’arte del tessere. Elena viene ricordata nell’Iliade, nel palazzo di Priamo, mentre ricama un arazzo in memoria dei morti in battaglia. Norma/Marylin spesso prende ago e cucito oppure lavora a maglia. Le loro mani si adoperano per costruire oggetti di memoria, come Penelope. Mani che curano e che lavorano, che non portano morte. eppure Elena/Norma vive il senso di colpa di essere cospargitrice di morte. Il carnefice riesce a colpevolizzare la vittima, in un meccanismo proiettivo tipico dei legami molesti. C’è in questo recupero, la capacità da parte di Anne Carson di mettere in scena il senso più profondo del poema epico e cioè la condivisione responsabile del destino di tutti, in un’unica tragica connessione esistenziale.  

Ma gli umani sono creature imprigionate nel tempo. E le poesie danno un’esperienza momentanea di atemporalità. È quasi come essere immortali.

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