#9 – Maurizio Tolotti
Nota e selezione testi a cura di Angelo Curcio
La visione poetica di Maurizio Tolotti non può prescindere da ciò che il suo occhio riesce a cogliere, in panorama o in dettaglio, attraverso l’obiettivo della macchina fotografica. Ed è qualcosa di realmente positivo, forse anche necessario: un costante dialogo interiore tar visioni della realtà che si differenziano unicamente per il modo di rappresentarle.
Versipelle ha incontrato gli scatti fotografici di Tolotti pochi anni or sono; il frutto di questa sinergia è stata A Vasto Clima, diciotto liriche inedite ispirate da altrettante sue “poesie d’immagine”, una silloge ancora disponibile in download gratuito dal nostro blog.
Le pagine in versi di Maurizio Tolotti sono la metamorfosi in parola di quanto visibile nell’appena citata antologia e degli innumerevoli scatti distribuiti lungo le pagine social: uno sguardo pacato ma non indifferente, anzi pregno delle volontà di decifrare i propri personali tragitti, le orme che incrociamo lungo il cammino. Appare naturale quindi che la traiettoria di un volatile marino diventi volontà di superare le distanze fisiche, o che le anse lente di un fiume, le sue acque che quasi ristagnano in una pausa della corrente, diventino braccia e occhi di chi, in maniera effimera o pregnante, si farà portatore di una particella delle nostre esistenze.
Vorrei trattenere
ogni dolore tra le mie mani
sollevarlo
farlo diventare onda
piuma
vorrei aiutare a rialzare
star vicino da lontano
non voler niente
solo essere tanto vicino
come fa l’aria
con un’ala di gabbiano
come ogni corolla
il primo giorno di primavera
si apre alla vita
e la prima notte la sposa
toccando la luna.
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La Saya è vuota
la lama spezzata
da un filo di sangue
si srotola l’orizzonte
sono stato molte cose
sono il mio intento
ha girato la terra intera
con tasche da navigante
ora sono acqua cheta
maestra del silenzio
rompo le sfere al tempo
nascosto dentro ai ponti
sono acqua che sarà mare
sarò bonaccia sarò tempesta
sarò spruzzi su scogli aguzzi
goccia dopo goccia
solo impronte
che scorrono in avanti
hanno il fuoco dentro
gli orizzonti dei viandanti
ancora ingenui i miei occhi
a guardare dentro quelli degli altri
credono nella sacralità dell’amicizia
avranno davvero ali
e piedi scalzi gli angeli?
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L’ordito
Accettare il cambiamento
dal vuoto creato
da uno schianto
da un rimpianto
da un annegamento
dal suo precipitare lento
preparare la terra al nuovo
ho visto un piccolo seme
imprigionato nel suo guscio
arrampicarsi
diventare nuvola
ringraziare
Il vento vorrebbe fermarsi
sognare di essere cielo
da gomitolo ingarbugliato
lungo filo colorato
dividere
l’amore dalla guerra
l’amore dall’odio
dalla matassa ingarbugliata
unire tutte le parole
amore
se il cielo potesse
riderebbe di lui
gli direbbe: guarda!
guarda il tuo dito
da lì inizio io
il cielo è un cordone
ogni ombelico l’ordito.
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Adoratori di stelle
Penetra il sogno la luce
tesa come una lama
filtra dalle persiane
un confine senza fine
circolare come l’orizzonte
come i pensieri
sognare una rosa
svegliarsi con i palmi scheggiati da spine
questo ci rende vivi
questo non voler lasciare la carne
che sanguini
questa sete di vita
di noi così imperfetti
così recalcitranti
a non essere il baricentro
dell’universo se non del nostro
adoratori di stelle
che sanno guardare.