Il Sole e Il Sale – Itinerari Poienauti

il

#4 – Raffaele Stella

Nota e selezione testi a cura di Antonio Califano

La voce dell”Irpinia continua a viaggiare, attraversa valli, colline e montagne. Dolce, civile e rimembrante raggiunge il proprio appartenere a quelle componenti, prerogativa del sentire doveroso. Parliamo del poeta-pittore-scenografo Raffaele Stella che con il suo puntuale pio culturale continua ad assumere una posizione preminente nell’ampio panorama artistico culturale Irpino e Nazionale. La sua arte poetica e pittorica merita di stare a pieno titolo tra i grandi della letteratura del XX e XXI secolo. La sua poesia riesce sempre ad aggiornarsi, anche oggi, con un lessico importante, atto a proporsi ad un senso di ricerca infinita. L’abituale lettore cerca nel poeta, con estremo piacere, quelle lezioni di vita che egli puntualmente poi sa restituire come perle di saggezza. La sua formazione attraversa tutti i più grandi poeti del passato, grazie ad un suo corposo dedito impegno di studio senza lasciare nei loro confronti alcun debito rilasciando l’arte plurale ad una visione moderna e influenzante. 

DOPO IL TERREMOTO

Alla fine contammo ancora i nostri morti

I morti senza bare

messi in fila davanti ai camposanti

Noi non c’eravamo

Avevamo qualcosa più dei morti

Aria e polvere nei polmoni

Scoloriti e sghembi

come i nostri muri

eravamo i vivi in ordine sparso

risucchiati nella miseria dimenticata

di animali a due zampe

Figli di propaggini della terra

confusi illusi dal delirio

ci credevamo il cuore la roccia

e non avevamo altro

che deboli gambe d’argilla

——-

L’ostensibile non coincide

con il presentabile

e raffazzonarsi non serve

Lo specchio restituisce quel che può

senza cinismo né compatimento

L’anima è ridotta peggio

È uno scampolo lacerato

Forse l’ultimo sul banco

——-

I ragazzi cazzeggiano ai bar

tra una vodka lemon e una ceres

Che sia l’uomo nuovo che avanza?

Altri esordi nella storia

hanno alitato alcool dal profondo

con uva e malto compagni

di inchiostro e di fucili

Stavolta luppolo e tannino

scribacchiano da un pezzo

e nulla in nuce appare

Lo storico tace

e l’antropologo vacilla

Focalizzano lenti e attendono

con un occhio ai bicchieri

e l’altro all’oculare

——-

Racchiuderò i mesi persi nel silenzio

nel palmo della mano sinistra

Blasfema sarebbe la custodia

nella mano deputata al fare

alle frequenze produttive

Vivo (?) se vivo anche o soprattutto

di ore che hanno il sapore aspro

degli acini precoci caduti

e prigionieri della zolla

o di minuti che divergono dal corpo

senza l’inclusione quel mescolarsi

alla pelle e alle ossa

Il senso dell’esserci è del resto

accettare la frazione in luogo di un tutto

(criptico mosaico) posposto

Si aspetta inermi che cada il velo

e che l’ultima tessera collimi all’adiacente

——-

L’esproprio lento del vivere

ci ha quasi ridotti

al minimale fissato

Bisturi e sgorbie

hanno sguazzato nella testa

fino a raschiare la parete

Una lobotomia accurata

giorno dopo giorno

ha lasciato senza appello

un che di rarefatto etereo

che sta lì

e irride la gravità

Un commento Aggiungi il tuo

  1. vengodalmare ha detto:

    Bellissima voce, le poesie hanno il sapore dell’eternità. Belle.

    "Mi piace"

Lascia un commento