Pietro Pisano – Peso specifico dell’attimo

Il sole & il sale
a cura di Armando Saveriano

Partendo dal paratesto, la copertina realizzata su una foto in B/N del M° Matteo Anatrelli, docente di fotografia presso l’Accademia della Moda di Napoli, fornisce un’indicazione-base sui contenuti della poetica dell’autore, classe 1979, ascolano. Staticità e movimento, sostanza materica e levità, duttilità della forma e ‘fittezza’ del tempo, occhio mobile che si sofferma e inquadra, coscienza dell’io fra ‘ontico’ e ‘ontologico’, in rapporto a ente e a Essere, quindi a ‘Esserci’ (esistere nel mondo). E l’attimo altro non è se non fuggevolezza irripetibile e parimenti, in ossimorica coincidenza, eternità che trascende le categorie mentali in una dimensione appena intuibile che non ha riferimento con il passato, il presente e il futuro: l’attimo nasce dalla coscienza ed è e resta un elemento ancestrale, atavico, primordiale. Il suo peso specifico è, per l’appunto, la densità, la forza impressiva dell’immagine che irrompe grazie alla parola subito ‘frantumata’ con il corpo a corpo tra senso e verità e ‘vanità’ della verità del senso, sempre asportabile, suscettibile di rimodellamento. Del resto, per Platone, il tempo è l’immagine mobile dell’eternità, per Kant una forma a priori della sensibilità. Quanto al tempo della fisica, esso non coincide con quello della coscienza. Pisani non è un affabulatore; egli indaga sullo stato delle cose che si rifanno all’uomo, il quale di par suo sente la necessità di trovare la propria autenticità anche a costo di una situazione di compromesso con l’appartenenza e con il distacco da essa. Due esemplari dichiarazioni di poetica, nella sezione “Shifts” (‘Sliding doors’: “Ci si consegna a un giorno/dissennato nella teoria delle cose/a un volteggio/di scritte luminose//a porte girevoli/sulla complessità del tempo,/quindi il ritorno nella galassia dello sguardo,/travolti infine da distratti accadimenti.”) e nella sezione “Fenomenologia dell’occhio” (‘L’altro in traduzione’: “Sempre la traduzione di uno/che entra in un altro, tutto/nell’equivoco/fino a qui essere detti//un versarsi a vicenda parole per spiegare/la direzione di uno sguardo,/dei gesti, staccati dal corpo,/quando chi bussa alle parvenze/nel discorso, non riceve il segnale/di quell’esatta frequenza/ma solo il suo commento:/è così che si guarda/il proprio vetro che altera i contorni/e mentre guardiamo chi guardiamo/siamo guardati diventando/quello che l’altro in noi ha visto.”) Molto pirandelliana, quest’ultima, specialmente nella chiusa che prepotentemente richiama le maschere e il dramma di “Così è (se vi pare)”. Intanto, l’io di Pisano si slaccia dal monocentrismo, rinnovando nel contempo fisionomia, movimento, spazio, forza; pertanto il testo si concede all’attraversamento della parola/voce e nello stesso tempo, se non smantella la bipolarità soggetto-oggetto, a mio parere certo non la enfatizza con la radicalità della metafora, che comunque svetta come perno irrinunciabile, intensifica le figure ed è veicolo del pathos nella sezione “Turn off/on”, e quando il testo poetico viene reso in prosa d’attrito con qualche ‘asprezza’ mediata da Char o da Heine (mi riferisco a “Valhalla” della sezione “Queen of swords” e quasi interamente a “Shifts”). Nello specchio della contemporanea civiltà poetica, quest’opera del giovane ascolano corrobora –se fosse possibile– il giudizio kantiano: “ La poesia è l’arte di dare a un libero gioco dell’immaginazione il carattere di un compito dell’intelletto”; è ghiotta materia di consapevolezza critica e sfido la rinuncia di certuni a pre o post fare, per svicolare da cimenti analitici nei quali impegna questo verseggiare pulsionale ed erratico, che reclama ‘nervi scoperti’ per il ricco impasto lessicale, per la decisa pronuncia di un montaggio turgido e originale, immerso nell’irriducibilità della pienezza. Come nel magistrale morceau “Il passante”, disseminato di ripetizioni lessicali a martello (“Io cammino con le gambe nella testa/nelle gambe camminano le idee/fino alla testa che cammina/con le gambe del giorno prima,/io cammino sempre e cammino/e cammino, in ritardo sulla vita/camminano gli occhi all’indietro/mentre la paura cammina e m’insegue/camminando con i miei occhi rapiti/strappati al domani e al dopodomani/camminiamo con le gambe nella testa”) o questo vrai lambeau/éclair de génie in pre-chiusura di “Shift”, fitto di geminationes (o conduplicationes): “ Una volta imparato come perdere/vedrai spuntarti dalle braccia/un altro paio di mani/sono mani che continuamente/lasciano andare/tutte le cose che hai perso./Non afferrano oggetti non stringono altre mani,/in ogni palmo c’è una pietra che brilla/quando precipita un rottame/ci scorre dentro la sabbia/ci passa dentro un universo/una radio difettosa che trasmette soltanto rumore/e altri suoni tu lasci/che cadano dalle nuove mani/come le sillabe al contrario/di parole ripetute nel sonno/e la rete di un pescatore/con dentro dimenticato un baule/pieno di scartoffie indecifrabili,/inutili mappe di Neverland,/cartografie di una mente inabitabile.” Libretto prezioso, imperdibile, il cui unico difetto, a mio personale avviso, è la discutibile qualità di confezione grafica ed estetica.

Pietro Pisano – Peso specifico dell’attimo – Ed. Oedipus 2020 – PP. 96 – Euro 12,00

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