Lo spazio di Atena
di Maria Consiglia Alvino
Certe mattine
al risveglio
c’è una bambina pugile
nello specchio,
i segni della lotta
sotto gli occhi
e agli angoli della bocca,
la ferocia della ferita
nello sguardo.
Ha lottato tutta la notte
con la notte,
un peso piuma
e un trasparente gigante
un macigno scagliato
verso l’alto
e un filo d’erba impassibile
che lo aspetta
a pugni alzati:
come sono soli gli adulti.
Esiste in noi un bambino, una forza primigenia e piena di luce, istintiva e a volte animale, la parte più vera. Questo bambino a volte sferra pugni, si arrabbia, scalpita per venire fuori, squarciare la maschera. È nel momento preciso in cui amiamo, con tutta la mente e con tutto il corpo, che il bambino viene fuori e si realizza un’unità armonica tra noi stessi, l’altro, il cosmo e la divinità che permea il tutto.
È questo che racconta con tratti precisi e definiti Chandra Livia Candiani, classe ’52, poetessa milanese e traduttrice di testi buddisti, in La bambina pugile ovvero La precisione dell’amore (Giulio Einaudi editore, Torino, 2014). Dell’autrice si sa poco: un’infanzia difficile, travagliata dall’incontro con la follia in famiglia, un viaggio in India intorno ai trent’anni che le cambia la vita: diventa quindi Chandra, in sanscrito Luna. Ed il dono del poiein diventa la chiave per la restituzione graduale di una consapevolezza profonda del bene e del male, abbracciati armonicamente in ogni piccola briciola del creato.
Nei suoi versi divampano con forza immaginifica il desiderio, il silenzio, il vuoto, il nulla, la vita e la morte, tutte dimensioni che, ancorché limitarci, possono secondo l’autrice aprirci ad altri infiniti mondi e dialogare tra loro. È una poesia dell’apertura e dell’accoglienza, della meditazione e della lentezza, della consapevolezza del bene e del male propria di chi sa stare al mondo abbracciando entrambi, portandoli nella pelle e nel sangue come un bel vestito.
Il contenuto filosofico e metafisico della poesia della Candiani potrebbe erroneamente indurre a presuppore una lingua astratta e indeterminata; invece il rapporto tra presenza-assenza, vita-morte, luce-ombra che quotidianamente sperimentiamo è reso all’insegna di una concretezza lessicale quasi pittorica, che ben delinea la corporeità anche di concetti astratti quali l’anima, la passione, l’amore, finanche la poesia, “il puma tatuato nel sangue”.
Il corpo, che la Candiani definisce “cucciolo di dio / bestiale”, è la chiave ermeneutica principale per “sentire” e comprendere verità più profonde. Il corpo è luogo di epifanie “terrene”: “è ciotola del cielo / il corpo / quando le radici urtano / cocciute / nella terra soffice, / è pane e vino / luce e fuoco / è scala”. E non si conosce che con il corpo: “Il tuo corpo / è la verità / è la cronaca in diretta / del danno / che ci vive.” Sono i sensi la porta del senso, come si evince da “Mappa per l’ascolto”:
Dunque, per ascoltare
avvicina all’orecchio
la conchiglia della mano
che ti trasmetta le linee sonore
del passato, le morbide voci
e quelle ghiacciate,
e la colonna audace del futuro,
fino alla sabbia lenta
del presente, allora prediligi
il silenzio che segue la nota
e la rende sconosciuta
e lesta nello sfuggire
ogni via domestica del senso.
Accosta all’orecchio il vuoto
fecondo della mano,
vuoto con vuoto.
Ripiega i pensieri
fino a riceverle in pieno
petto risonante
le parole in boccio.
Per ascoltare bisogna aver fame
e anche sete,
sete che sia tutt’uno col deserto,
fame che è pezzetto di pane in tasca
e briciole per chiamare i voli,
perché è in volo che arriva il senso
e non rifacendo il cammino a ritroso,
visto che il sentiero,
anche quando è il medesimo,
non è mai lo stesso
dell’andata.
Dunque, abbraccia le parole
come fanno le rondini col cielo,
tuffandosi, aperte all’infinito,
abisso del senso.
E se il corpo è la porta del senso e di ogni significato percepibile ed esprimibile, l’anima ha parimenti un che di corporale, di animale: “La tigre giovane / che mi abita / percorre i secondi / misura il mio torace / ha zampe forti / per accogliere il dono del respiro / che spunta appena, / appena nato”. L’anima sta al corpo come l’animale alla sua pelle: “Cura / di abitare l’anima / come l’animale / la sua pelle, abitarla / in gloria e luminescenza / e in pena e meschina piccolezza / in domestico deserto / abitarla sempre / anche in tua assenza / indossarla la sua / carne senza spine / come corpo nuovo / come candida corrente”.
L’anima ed il corpo sono, in sostanza, due facce della stessa medaglia, inscindibilmente connesse: “Il corpo dice povertà, pizzico / di polvere infuocata, dice /maestà senza sfoggio, precipizio. / Il corpo è esposto, chiunque / lo può guardare, è prigioniero / dell’anima, è solo. / Il corpo si lascia segnare / dove l’anima già si ritrae. / È curvo, è sfregiato, è piedestallo / di un volo, è lirico profetico, / passionale e stanco. / L’anima ha le ali, il corpo / ne porta la fatica” (da Per voce di amante).
Il corpo è ponte e tramite, fucina e patria di noi che stiamo qui, la luce e il fango, stretti al tutto e al niente come nell’intimità di un abbraccio:
Dunque, sapiente
è il corpo,
che sa morire e consegnare
alla luce, mostrare
i denti piegare le due sponde
delle labbra, lacrimare
solo o faccia a faccia
sanguinare e spaccarsi
e dire parlare dire instancabilmente
parlare inascoltato.
Dunque, tra il silenzio risoluto
dell’universo,
il suo nessuno che ama,
sentimento vertiginoso e tenero
che si sprigiona
come neve equanime
e spassionata, bella,
su noi distratti,
e il mondo folgorato
e nero, nel fuoco di pianura,
il mondo patetico di scintilline
nella notte della visione aerea
di noi impastati di fango,
inadatti al volo sospesi
tra le bombe, dunque
tra tu universo e tu mondo
non c’è che il corpo, questa
minuscola mollica di pane,
questa fucina di passione
e quiete, sipario
delicato tra vuoto
e vuoto. Spiccati dall’universo,
sminuzzati dal mondo,
il corpo è terra madre
postura raccolta per il balzo.
Dunque, solo il corpo
è patria e dimora
di noi spiumati
e senza casa,
il corpo sa,
di muschio e nulla,
di essere immenso
di contenerlo
sa.
Un’autrice dalla personalità spiccata, e meditativa,, che conduce il lettore attraverso una serie di versi profondi
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